martedì 14 marzo 2017

"Ali Letterarie": la nuova rubrica di Ivana Leone

La Scapigliatura ti “spettina” l’anima
di Ivana Leone



Ci siamo mai chiesti perché viviamo in un determinato modo… per quale motivo rispettiamo determinate regole… perché? E Per quale motivo dobbiamo vivere secondo alcuni schemi!? Tutta questa rigidità potrebbe offuscare il nostro “estro” creativo, non trovate!? :-P
Rompere le “regole prestabilite” mi porta alla mente un movimento artistico-letterario, sto parlando della Scapigliatura. Che cosa si intende per Scapigliatura?
L’aggettivo “scapigliato” , che significa propriamente “con i capelli scomposti, in disordine”, iniziò a circolare in Italia verso la metà dell’Ottocento, per indicare individui dallo stile di vita non conformista e antiborghese, in genere artisti scapestrati. Il termine traduceva in modo approssimativo il francese bohémien, letteralmente “zingaro”, con cui ci si riferiva agli artisti maledetti dell’ambiente parigino.


L’uso di questo termine (Scapigliatura) per indicare una precisa corrente letteraria italiana viene inaugurato dallo scrittore Cletto Arrighi che nel 1862 pubblicò il romanzo La Scapigliatura, che rappresentava appunto l’ambiente turbolento e irrequieto dei giovani artisti milanesi.
Gli autori della scapigliatura si differenziano per la predilezione di temi macabri, cupi, folli, fantastici e proprio a proposito di ciò è di particolare importanza il racconto di Igino Ugo Tarchetti, La lettera U.
Il racconto, La lettera U (manoscritto di un pazzo) costituisce uno degli esempi più interessanti della narrativa scapigliata e della sua speciale attenzione alle situazioni assurde, abnormi, marginali. Il protagonista soffre di una devastante ossessione che lo terrorizza ogni volta che ha a che fare con la lettera U.
Ogni tentativo di superare questo stato di incubo risulterà vano e il personaggio, divenuto pazzo, morirà in manicomio. Il racconto viene presentato sotto forma di diario manoscritto, in modo da proporre una storia vera, spiegabile scientificamente (o quanto meno, documentabile) pur nella sua assurdità. La scrittura di Tarchetti riproduce fedelmente la crescente alienazione del protagonista: l’ossessività delle ripetizioni e l’introduzione di una rilevante innovazione grafica, la riproduzione della lettera U in grandezze differenti, corrispondono allo sviluppo dell’ossessione nella psiche.
Il protagonista del racconto concepisce per questa vocale un’avversione tale da abbandonare una dopo l’altra tre donne, che pure amava, colpevoli però di portare un nome nel quale figura la U. Alla fine l’uomo si rassegna: ne sposa una, Ulrica, fiducioso di poterla convincere, un giorno, a cambiare nome. Non ci riesce, però. E allora colpisce rabbiosamente la moglie, fino a essere ricoverato in un manicomio, dove si spegnerà senza più vincere questa ossessione per la U.

Proprio all’inizio del racconto la serie di domande ci rivela subito la condizione alterata dell’io narrante. Man mano che la narrazione procede, l’alterazione diviene vera e propria ossessione psichica. La scrittura riproduce tale ossessione ripetendo i medesimi aggettivi e infittendo le domande. Sono espedienti con i quali l’io narrante vuole portare il suo interlocutore, il potenziale lettore del suo manoscritto, sul suo stesso terreno, mostrandogli tutti gli orrori provocati dalla lettera U: precisamente tale movimento di ricerca di consenso caratterizza la prima parte del racconto.
Nella seconda parte, l’io narrante passa a raccontare la propria vita: l’obiettivo, qui, non è più far aderire il lettore alle proprie convinzioni, quanto mostrare il crescere del terrore per la lettera U. La narrazione assume tratti paradossali e grotteschi, come rivela la scelta della moglie in rapporto al nome. Nel finale il protagonista raggiunge l’apice della follia: arriva a ergersi a salvatore (incompreso) del mondo, considerando ingrati coloro che non lo capiscono e lo giudicano pazzo. Perciò le frasi diventano sentenziose e perentorie; si moltiplicano inoltre i punti esclamativi, già ampiamente ricorrenti nella prima parte del racconto. Importante è poi l’ultima frase: il narratore esterno riprende il sopravvento e riporta il racconto a una dimensione di normalità. Il punto di vista è ora quello scientifico, di chi annota tutta l’infelicità connessa a una condizione di malattia mentale: la secchezza dell’osservazione sembra quella del medico che chiude la cartella clinica.


A ventidue anni, con tante belle idee nel capo, con tanti affetti nel cuore doversi seppellire tra le mura di un ufficio e contemplare il sole di maggio attraverso le gretole di una persiana! L' infimo degli insetti, che ronza nella mia camera, l’infimo uccello che canta in un piccolo giardino del cortile sono infinitamente di me più felici; essi vengono, vanno, vedono il sole, contemplano la natura; io darei tutta la mia vita per una sola delle loro giornate!                   Igino Ugo Tarchetti


Per contattare Ivana Leone: ivanaleone87@hotmail.it


Dal Segnalibro di marzo
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